Era l’alba del 7 febbraio. Sin dalla tarda notte c’erano stati segnali d’allarme: decine di mezzi blindati della polizia in movimento per la città. La sorpresa, programmata con cura, non aveva funzionato. Quando un esercito di poliziotti, carabinieri, guardie di finanza e Digos hanno fatto irruzione all’Asilo occupato di via Alessandria, cinque anarchici sono riusciti a salire sul tetto. Vi rimarranno per oltre 30 ore, nonostante il freddo rigido e l’assedio degli uomini e delle donne della polizia politica.
La stessa mattina la polizia entrava nella casa occupata di corso Giulio Cesare per effettuare alcuni arresti.
Lo sgombero di una delle occupazioni storiche della città è coinciso con l’Operazione “Scintilla”, che la Procura torinese ha aperto nei confronti di una trentina di attivisti contro la macchina delle espulsioni e i CPR, le prigioni amministrative per immigrati senza documenti. Il pubblico ministero Manuela Pedrotta ha chiesto ed ottenuto la detenzione in carcere per sei anarchici.
L’accusa, rispolverata per l’occasione, è di associazione sovversiva, l’articolo 270 del codice penale, uno dei tanti strumenti affinati nei decenni per colpire chi si unisce per trasformare radicalmente l’assetto politico e sociale in cui tanta parte dell’umanità è forzata a vivere. Un’accusa che colpisce l’identità politica al di là dei singoli episodi che vengono assemblati per criminalizzare le lotte, tentare di isolare compagni e compagne dal contesto sociale in cui si muovono.
Nulla di inedito. A Torino dieci anni fa tentarono senza successo di usare il reato di associazione a delinquere per colpire i compagni e le compagne dell’Assemblea Antirazzista. Riuscirono in ogni caso ad ottenere condanne pesanti per decine di anarchici ed anarchiche. Tanti sono gli strumenti che il codice penale offre ai Pubblici Ministeri per colpire gli attivisti politici e sociali. La democrazia tollera le voci fuori dal coro solo quando si limitano alla testimonianza ineffettuale. Chi si mette di mezzo, chi prova ad inceppare la macchina delle espulsioni, viene considerato un nemico da trattare con le leggi di guerra, affinate negli anni da governi di destra e di sinistra. Chi crede che la democrazia venga tradita da norme e pratiche particolarmente liberticide commette un errore prospettico, perché la democrazia reale tradisce la propria natura di fronte a chi lotta per sgretolare un assetto sociale fondato sullo sfruttamento, l’oppressione, la violenza quotidiana dello Stato e dei suoi servitori.
Sovvertire l’esistente è l’ambizione di ogni anarchico, che è sempre nemico dello Stato, qualunque veste indossi.
Sin dalle prime ore del 7 febbraio è stato chiaro che la Questura aveva deciso di mettere sotto assedio un bel tratto del quartiere: tutte le vie intorno all’Asilo sono state chiuse. Solo ai residenti è permesso entrare nell’area militarizzata ed occupata. Mentre scrivo sono passati quattro giorni dall’inizio dell’operazione e l’area è ancora chiusa in una morsa poliziesca.
I solidali, circa una sessantina, che in mattinata avevano provato ad avvicinarsi in corteo, sono stati caricati e messi al muro per ore. In serata un corteo spontaneo è stato caricato in corso Palermo per impedire che si avvicinasse a via Alessandria.
Sabato 9 febbraio un corteo che ha raccolto solidali dalla Torino e da altre città è partito dalla centrale piazza Castello. In testa lo striscione con la scritta “Fanno la guerra ai poveri e la chiamano riqualificazione. Resistiamo contro i padroni della città”. Circa duemila persone vi hanno partecipato. Dopo un primo giro in centro, il corteo si è diretto a Porta Palazzo, per imboccare corso Giulio Cesare, dove un imponente apparato poliziesco chiudeva il Ponte Mosca sulla Dora e impediva l’accesso alla zona dell’Asilo.
Tutti i ponti successivi erano blindati. In lungo Dora Savona ci sono i primi scontri: i manifestanti tirano pietre e petardi, la polizia spara lacrimogeni e usa l’idrante. Un successivo tentativo di sfondamento fallisce. Il corteo, tra cassonetti incendiati e barricate, prosegue sino a Vanchiglia. Qui, nelle vie strette del quartiere, la polizia carica e arresta 11 manifestanti. Quattro feriti vengono portati via dall’ambulanza: per fortuna il più grave, incosciente dopo un colpo al petto, non peggiora.
Durante gli scontri va in frantumi la vetrata d’ingresso della Smat, la società dell’acqua, che non esita a chiudere i rubinetti degli utenti morosi, danneggiate anche banche e le City Car dell’ENI.
Il sindaco di Torino, la pentastellata Chiara Appendino, che si era congratulata con la polizia per lo sgombero, dopo il corteo guida il coro dei politici cittadini di tutte le formazioni nella condanna dei “violenti”. Si allinea anche il vicesindaco Montanari, da sempre la sponda della giunta con i movimenti, che dichiara “via Alessandria non aveva nessun contenuto sociale, era un rifugio di alcuni delinquenti, odiato dai cittadini. Niente a che vedere con Cavallerizza, Gabrio e Askatasuna”.
Ciro Sciretti, capogruppo della Lega nella Sesta Circoscrizione, ha dichiarato “Nessuna pietà, NESSUNA, per queste persone le forze dell’ordine sono troppo limitate nei loro poteri. Ci vuole un po’ di scuola Diaz” i.
Il governo della città e quello del paese provano a regolare i conti con i sovversivi e i poveri. Il ministro dell’interno ha detto chiaro, che dopo aver bloccato gli sbarchi dei migranti, è pronto all’affondo decisivo contro i “delinquenti” dei centri sociali.
L’Asilo occupato, che in 24 anni ha vissuto tante stagioni diverse, sempre nel segno dell’autogestione, è stato descritto dal questore di Torino, Francesco Messina, come “base di una cellula sovversiva”: Messina si è spinto ad affermare che “si tratta di un gruppo che ha esercitato per anni un controllo militare sul quartiere Aurora”.
Chi conosce e vive questa zona assapora ogni giorno il sapore agre del “controllo militare” cui è sottoposto ogni giorno. Una quotidianità scandita da posti di blocco, retate di stranieri senza documenti, senzatetto, poveri che vivono lavando vetri o smerciando qualcosa.
Tanti di quelli che vivono tra Barriera di Milano e Aurora conoscono gli anarchici, che da decenni sono radicati nel quartiere. Diversi gruppi anarchici hanno o hanno avuto sede qui. Tante lotte, iniziative culturali, di solidarietà e di mutuo appoggio si sono sviluppate tra la Stura e la Dora.
Negli ultimi tempi lo scontro sociale è diventato sempre più duro.
Nei lunghi anni di governo del centro sinistra Torino si è trasformata radicalmente. La metropoli della Fiat, pensata e costruita come città fabbrica, ha lasciato il posto alla città immaginata tra il Politecnico, la stessa Fiat, le Banche e il partito Democratico. Città di servizi, turismo e grandi eventi. Gli antichi borghi operai, luogo di crescente marginalità sociale, sono costantemente sospesi tra riqualificazioni escludenti e il parco giochi di carabinieri, militari e poliziotti.
La giunta a 5Stelle si è velocemente inserita nel solco dei governi precedenti.
L’area di Porta Palazzo è attraversata da un processo di gentrificazione, che rende necessaria la normalizzazione violenta del quartiere.
Siamo in una periferia tradizionalmente eccentrica, in tutta la densità semantica del termine. Quartiere di poveri e di immigrati vicinissimo al salotto buono della città, luogo dove le pratiche e gli immaginari utopici si sono intrecciati lungo l’arco dell’ultimo secolo.
Qui, nella primavera di guerra del 1917, la rivolta contro la guerra e la fame divampò per giorni. La polizia caricava a cavallo, le barricate vennero elettrificate, gli anarchici erano in prima fila. Ci furono arresti e feriti. Due anni dopo il massacro mondiale era terminato, ma non il sogno di cambiare tutto. Le fabbriche vennero occupate e la rivoluzione era ad un passo, ma i socialisti e la dirigenza nazionale della CGL non vollero andare a fondo. Poi venne il fascismo, la strage di Torino, Pietro Ferrero torturato ed ucciso, ma in Barriera di Milano non tutti presero la via dell’esilio o del silenzio: un gruppo anarchico clandestino rimase attivo per tutto il periodo della dittatura.
Durante l’occupazione militare e la repubblica di Salò, le fabbriche tornarono ad animarsi di operai mai domi, che promossero sabotaggi e lo sciopero del marzo 1943. La Barriera era uno dei cuori pulsanti della lotta che culminò con l’insurrezione dell’aprile. Si combatté strada per strada, molti caddero. Venne la democrazia: i comunisti di Togliatti graziarono i fascisti e fecero marcire in galera anarchici e comunisti dissidenti.
Negli anni Sessanta e Settanta si intrecciarono le lotte operaie con quelle per la casa, i trasporti, la sanità. Quando calò il gelo degli Ottanta, nonostante la repressione ed il clima di restaurazione, il filo rosso e nero continuò ad intrecciarsi, ponendo le basi per le lotte sociali degli ultimi vent’anni. Lotte che hanno visto protagonista buona parte della galassia anarchica subalpina.
In quest’ultimo mese si è dipanata la resistenza dei lavoratori del Balon, già relegati dalle giunte PD tra il canale Molassi e il cimitero di San Pietro in Vincoli. Appendino ha deciso di spostare ancora i poveri che raccolgono e vendono le cose trovate nei cassonetti o nelle cantine, in uno spiazzo desolato alle spalle del cimitero, dove da qualche anno è stato costretto il mercato spontaneo domenicale nato in piazza della Repubblica. Ma i balonari resistono da quattro sabati, occupando di notte gli spazi, sostenuti da tanti solidali, tanti sovversivi.
Il governo della città e quello nazionale sono consapevoli che la povertà crescente, la precarietà della vita e del lavoro, la pressione disciplinare che permea di se ogni ambito sociale potrebbero innescare una insorgenza sociale diffusa. A Torino come in ogni dove d’Italia.
La periferia nord di Torino è una polveriera sociale, che le riqualificazioni escludenti rischiano di far esplodere.
La repressione difficilmente riuscirà a spegnere la scintilla della sovversione sociale.
Salvini, Appendino, Chiamparino e compagnia cantante dovranno farsene una ragione.
Maria Matteo
Qui i comunicati di solidarietà della FAT e della Cdc-FAI